Dal 1823 monsignor Cappelletti aveva istituito una raccolta fondi per la realizzazione del manicomio. Il nuovo edificio per dare ricovero ai malati di mente aveva l’ingresso  su via Belvedere. Lo stile è semplice, lineare, con una serie di finestre che si ripetevano allineate e un cortile interno che si apriva al giardino attiguo, che in realtà era l’antico e magnifico Barchetto ducale dei Della Rovere. Le due unità furono due realtà separate finchè non cambiò la concezione di quel luogo.  La situazione del  San Benedetto appena aperto  infatti non era rosea e risolve solo in piccola parte i problemi dei malati. Il primo direttore fu Felice Pesaresi, un contabile, e la cura dei malati fu affidata ai medici condotti. In pratica si ricoveravano solo ”i risanabili”, quelli non troppo pericolosi. La situazione peggiore era per le donne, che non disponevano di latrina  e di uno spazio per l ‘aria e dunque venivano distribuite di giorno in varie strutture e di notte ospitate tutte in una stanza nel San Benedetto. 

E’ solo con il primo direttore medico, Domenico Meli, che la concezione del manicomio cambiò e si instaurarono nuove regole: non si usava più il termine matto o pazzo, e l’obiettivo era portare ai malati conforto e consolazione, anche se poi questo non impediva l’utilizzo della sedia tranquillizzante, bagni caldi e freddi, sedia elettrica e sedia rotante, utili “per la salute del sistema nervoso”. 

Successivamente Pompeo Mancini, che progettò gli Orti Giulii, realizzò anche una porta di sapore classicheggiante attigua all’area del Barchetto, che sempre più si rendeva necessario annettere al manicomio; cosa che riuscì solo più tardi, e di cui si parlerà nell’ultima tappa. 

Quando il San Benedetto ebbe notevolmente aumentato il suo volume e la sua capienza,  l’ingresso venne spostato e  questo  lato ovest divenne l’ala maschile,  in cui si racconta che chi passava vicino al manicomio si sentiva chiamare da una voce che chiedeva “Tocca il mur…! Tocca ‘l mur..”.

Tante persone per anni hanno fatto questo semplice e irrazionale gesto passando da qui, pur non sapendo perché, ma per vicinanza a chi viveva lì dentro.